Registrare le presenze e gli orari dei lavoratori è una delle attività di routine di ogni realtà lavorativa, piccola o grande che sia, dal pubblico al privato: i dispositivi e le soluzioni presenti sul mercato sono molteplici e poliedrici.

Nel corso degli ultimi tempi, anche a causa dello scoppio della pandemia innescata dal Coronavirus sono aumentati i sistemi di rilevazione denominati “hands-free”, cioè a mani libere, in modo da evitare il contatto promiscuo con oggetti e mantenere tutte le misure necessarie per la salvaguardia individuale e collettiva. Con i recenti provvedimenti del governo italiano, inoltre, vige la necessità di controllare anche la validità del Green Pass previa entrata dei dipendenti, tutto sempre nella salvaguardia del bilanciamento di interessi tra privacy dei singoli e interessi collettivi, come ha sottolineato un recente articolo de “Il Sole 24 ore”, in cui si mette in luce – tra le altre cose – l’impossibilità (almeno al momento) di memorizzare i dati di lettura del Certificato, il quale deve essere scansionato quotidianamente per permettere o meno l’accesso.

Al di là dell’attuale situazione, l’utilizzo di questi strumenti resterà valido (se non costituirà addirittura la norma) anche in futuro, visto che permette la registrazione delle presenze in maniera automatica.

Vediamo quali sono tre possibili metodi di utilizzo “a mani libere”.

Ti leggo in faccia?

La timbratura mediante riconoscimento facciale può apparire la soluzione-principe, tuttavia, almeno all’interno dell’attuale panorama legislativo, non è applicabile, perché considerata contra legem. Secondo la vigente normativa sulla privacy, infatti, questo tipo di riconoscimento rientra nell’area dei dati biometrici, quindi viene equiparato, concretamente, all’impiego delle impronte digitali. Le linee guida del Garante della Privacy sono molto cristalline in tal senso e permettono l’uso di sistemi biometrici solo nel caso in cui si verifichi la stringente necessità di un sistema che è senza dubbio più intrusivo rispetto all’uso di altri meno invasivi, come la lettura di codici tramite badge; ciò capita non di sovente e, comunque, in campi assai specifici (come può essere quello delle verifiche bancarie).

Quasi con un bottone (d’oro)

Un’alternativa potrebbe essere quella di utilizzare dei piccoli dispositivi molto simili a dei bottoni – chiamati beacon BLE – che rilasciano in maniera continua dei segnali bluetooth a basso dispendio energetico: questi segnali sono captati da antenne che vanno installate nell’area di lavoro; in tal modo, al passaggio del dipendente, si attua la verifica e la rilevazione.

Uno degli inconvenienti, però, è che tale registrazione viene effettuata tutte le volte che il lavoratore passa all’interno del raggio d’azione coperto dall’antenna. In aggiunta a ciò, questi particolari “bottoni” sono alquanto costosi: se un badge, difatti, è venduto al prezzo di circa 1€, un beacon – di contro – si quota attorno ai 25 €.

“Io non ho fili eppure sto in piè”

Da più di cinque anni (https://www.repubblica.it/tecnologia/2016/10/10/news/privacy_timbrare_il_cartellino_con_un_app_il_garante_da_il_via_libera-149470994/) il Garante della Privacy ha dato il suo placet per la timbratura del cartellino tramite app, cosa che già permette di agevolare non di poco quest’attività. Ma c’è una soluzione ancora più rapida, sviluppata dalla software house Valeprog, che qui sintetizziamo, invitando a visitare la loro pagina specifica per ulteriori approfondimenti: https://valeprog.it/blog/Rilevazione-presenze-mani-libere/ .

Il sistema sviluppato sfrutta il segnale WiFi degli smartphone dei lavoratori: difatti, i cellulari di ultima generazione, dopo aver registrato le credenziali di una rete senza fili, di default si ricollegano alla stessa tutte le volte che ritornano nell’area ricoperta dal WiFi stesso. Considerato il fatto che tutti, al giorno d’oggi, portano sempre con sé il proprio smartphone, questa soluzione approfitta scansione costante della rete del posto di lavoro, che va a identificare i singoli devices mobili – essi, ovviamente, devono essere inseriti all’interno di un database: nel momento in cui uno smartphone viene identificato, si esegue automaticamente una “timbratura di entrata”; quando, poi, esso lascia la rete, è realizzata una “timbratura di uscita”.

Perché il sistema funzioni correttamente bisogna che i dispositivi dei dipendenti siano registrati dentro il database del software utilizzato. A tal fine occorre recuperare l’indirizzo del cellularestesso sulla rete WiFi – il cosiddetto indirizzo MAC: la procedura varia leggermente a seconda che si abbia un cellulare con sistema Android o iOS, ma è ricavabile, in entrambi i casi, sempre dalle impostazioni.

Tra i numerosi vantaggi che questa soluzione porta con sé c’è sicuramente il fatto che i dipendenti non sono tenuti ad avere niente con sé, a parte lo smartphone (questo, ça va sans dire, permette di dire addio alle dimenticanze di timbrature); inoltre i costi di implementazione sono davvero bassi, perché, a parte il dispositivo hardware atto a compiere la timbratura tramite segnale senza fili per mezzo dei telefoni cellualri, la rete internet è ormai una realtà onnipresente.

Se si volesse trovare qualche piccolo “difetto”, preme sottolineare la necessità che il WiFi ricopra tutta l’area di lavoro frequentata dai dipendenti (ciò solitamente non è affatto un problema, a eccezione di quelle realtà che presentano spazi davvero ampi). È poi necessario che tutti i lavoratori mantengano lo smartphone acceso e il WiFi attivo, altrimenti – ovviamente – il sistema non riesce a funzionare correttamente.

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